L’attuale pandemia ha riportato in auge alcuni comportamenti che si ripresentano periodicamente in momenti di crisi e difficoltà comuni particolarmente gravi: l’esposizione di bandiere da terrazze e finestre ed un vocabolario riconducibile al tempo di guerra. Dobbiamo resistere, ce la faremo, l’Italia è un grande Paese, uniti ne usciremo più forti di prima, combattiamo insieme il virus (manco fosse una persona da abbattere questo virus).

Capisco perfettamente che, davanti ad un pericolo comune, tutti reagiamo come sappiamo e come possiamo, ma mi preoccupa che le parole, e in conseguenza, l’atteggiamento che va per la maggiore sia quello della resistenza attiva. Ciò significa che, dalla seconda guerra mondiale ad oggi nulla è cambiato nel nostro modo di sentire e di affrontare la realtà.

Vedete, la resistenza di fronte ad un problema significa creare tensione, congelarsi in una sorta di bolla nel tempo aspettando tenacemente che passi il brutto periodo per continuare con la nostra vita come se niente fosse. Non è un atteggiamento che può portare ad una qualsiasi evoluzione di tipo sociale, emozionale o mentale, e, decisamente, non ci aiuterà a sfruttare questa situazione per crescere.

La resilienza, invece, ha tutto un altro sapore. Resilienza vuol dire osservare la situazione in cui ci troviamo, capirne le cause e realizzare un processo di autoanalisi per individuare quali sono i miei comportamenti che hanno contribuito a creare o peggiorare questa crisi. Significa anche fare un bilancio sulle proprie scelte per decidere se siamo soddisfatti di dove ci hanno portato.

La resilienza è moto, morbido e costante, è permettersi di cambiar forma per migliorarci, ma, allo stesso tempo accettarsi per quelli che siamo. La resistenza è rigidità, blocco, tensione del mi spezzo, ma non mi piego. Tutte le parole emettono un livello di energia e sono espressione di un certo tipo di pensiero, è nostra responsabilità esserne coscienti e sceglierle di conseguenza, prendendoci cura anche e soprattutto di ciò che pensiamo.

 

Immagine di copertina di  Martina García Andreoli

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